martedì 20 gennaio 2009

L'università com'è e come dovrebbe essere

Tanto si è detto a proposito della riforma dell'università. Il governo, nella persona della Gelmini, ha deciso di distinguere tra istituti virtuosi e non. Sono insorti molti studenti, impauriti dall'approccio troppo rude; poi si sono necessariamente calmati, dovendo scegliere tra superare gli esami o essere bocciati. Anche in passato le lotte studentesche si concentravano nel primo quadrimestre. A proposito delle università italiane, un dato di fatto è che solo una parte di quelli che si iscrivono al primo anno pervengono alla laurea, e che producono molti sottoccupati. Rendere più serio il percorso universitario servirebbe a fornire dirigenti e quadri capaci al settore pubblico e a quello privato. Se c'è una cosa di cui abbiamo bisogno in Italia sono i dirigenti ed i quadri capaci di svolgere i compiti loro assegnati, e di assegnarne di adeguati ai sottoposti. Analizzando i vari corsi universitari, scopriamo che, da sempre, medicina ed ingegneria, assieme a giurisprudenza ed economia, richiedono il tempo pieno. Medicina ed ingegneria per forza di cose, per la partecipazione richiesta ai corsi. I laureati in medicina ed ingegneria si vede che sono stati costretti a studiare, per potersi laureare. Neppure le lauree in giurisprudenza ed economia sono regalate. L'approccio di medicina è sempre stato classista: ci si aspetta che pervengano all'università dei liceali e non dei periti, dei geometri o dei ragionieri. Il medico viene costruito per cinque anni prima dei sei del corso universitario, che sarà seguito dalla specialità. Tutto questo studiare forgia il soggetto, e lo inquadra; è una selezione naturale, che escluderebbe molti studenti di altre facoltà. Analoga selezione non è presente in scienze politiche, nata come laurea per studenti lavoratori, o per lettere, con tutte le sue infinite diramazioni. Uno che si iscriva a medicina deve avere una famiglia alle spalle, che lo mantenga fino quasi ai trenta anni. Ingegneria, economia e giurisprudenza richiedono meno tempo. Scienze politiche non è una cretinata di laurea, ma in Italia è decisamente soft. Per potenziare scienze politiche, basterebbe inserire molti più insegnamenti attinenti alle regole non giuridiche che regolano i rapporti tra le nazioni, e non solo. Quello che la Gelmini dovrebbe fare è quindi individuare i corsi di laurea che meritano di sopravvivere. Tutte quelle altre menate, buone solo per imbambolare la gente e fare lavorare docenti fasulli, dovrebbero tornare ad essere una cosa collocata tra i diplomi e le lauree. Ad esempio: le scienze infermieristiche, la laurea per assistenti sociali, e tutte le invenzioni prodotte da menti fertili di professori più piazzisti che altro. Poi ci vuole il numero chiuso, che consiste nel preventivare quanti medici serviranno tra sei anni, non ancora distinti per specialità. Perché sottovalutiamo professioni tecniche molto importanti come quella dell'idraulico? C'è poco da ridere: accade sovente che qualcuno ci lasci le penne, perché una caldaia era stata collocata male, da una specie di cane. E senza avercela con i cani. Dovremmo preventivare anche il numero degli idraulici, dei muratori, degli imbianchini. Così eviteremmo di chiamare in Italia gente che finge di saper fare quei lavori, e produce solo danni. La scuola e l'università sono il punto di partenza dell'occupazione. Ecco perché da noi ci sono tanti disoccupati, tanti incapaci e tanti fannulloni (come dice Brunetta). La scuola e l'università così come sono non funzionano. Mandiamo a lavorare tutti quei docenti che rubano il più che lauto stipendio, poi spariscono per mesi, fingendo di essere occupati a studiare chissà cosa. L'università non è per tutti, al di là dell'aspetto economico, che pure ha la sua importanza. Non è vero che chiunque possa diventare un bravo ingegnere. Ne conosciamo tanti a cui non affideremmo neppure il progetto di un canile. Chi non può fare il medico o l'ingegnere, faccia l'infermiere, o il tecnico, o il muratore, o l'idraulico. Non è che questi ultimi lavori siano esattamente sottopagati. Ora come ora, di sicuro c'è il grande business della formazione: tutti organizzano corsi di tutti i tipi, per gente che passa giornate a dormire sui banchi, piuttosto che lavorare. Girano troppi soldi, con risultati vicini allo zero. Aziende sanitarie della mutua organizzano continue riqualificazioni di soggetti che, alla fine dei corsi, ne sanno quanto ne sapevano all'inizio, cioè poca roba. Ma chi se ne frega. Siamo in Italia, e ci crediamo dei gran furboni. Ovviamente quelli che sanno veramente fare, ma non hanno “fortuna”, migrano all'estero.

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