martedì 5 maggio 2009

MERITO DELLA RITMO DI OBAMA

Pare che l'attuale presidente degli Stati Uniti abbia, quando era studente, posseduto e guidato una Fiat Ritmo, e si sia trovato bene. Si trattava presumibilmente di una Ritmo tipo America, di quelle con il paraurti rinforzato, con 85 cavalli di potenza. In quel periodo, la Fiat mandava in America anche una 131 altrettanto ben fatta, con altrettanto paraurti rinforzato. Le motorizzazioni destinate all'esportazione oltre oceano erano superiori a quelle italiane, e c'era finanche un accenno di catalizzazione. La Ritmo e la 131 giunte negli States risultavano comunque utilitarie, come il primo Maggiolino Volkswagen. Un 1400 di cilindrata era per gli americani quello che per noi era un 500cc. Ora anche per loro un 7000 di cilindrata è veramente eccessivo. Ecco perché, vent'anni dopo, il presidente Obama ha creduto nel piano di Marchionne. Forse noi italiani, tra tutti i produttori di piccole auto, siamo i meno antipatici. Si vede che gli statunitensi ci preferiscono ai giapponesi, ai coreani, ai tedeschi ed anche ai francesi. Come se non bastasse, Marchionne ha preso di mira anche la Opel, che è di proprietà della General Motors. Quindi anche in questo caso Obama potrà dire la sua, in favore di Fiat. Le banche americane hanno ben visto l'accordo con la Chrysler, ed hanno allentato i cordoni della borsa. Dal punto di vista industriale, è comprensibile il risparmio realizzabile nella produzione di un telaio che funzioni su due o tre modelli, di due o tre marchi diversi. Poi però, per fare ripartire gli acquisti, le auto dovrebbero costare sensibilmente meno. Problema dei problemi: nei risparmi di scala è compreso anche il costo della manodopera. Uniformare parzialmente diversi modelli di auto significa non aver bisogno di troppe catene di montaggio, e dei rispettivi addetti. I tedeschi sembrano molti attenti a questo aspetto; ma è anche vero che i sindacati tedeschi cogestiscono la Opel. I sindacati tedeschi esprimono evidentemente persone in grado di operare scelte industriali, non inutili demagoghi da piazza. Stranamente i sindacati italiani non paiono altrettanto in allarme per le possibili ripercussioni negative dell'operazione di Marchionne.

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