domenica 7 marzo 2010

DECRETO SALVA ELEZIONI

Grande scalpore ha suscitato l'intervento di Napolitano a sostegno del decreto legge con il quale Berlusconi rimette in gioco la Polverini e Formigoni. Il capo dello Stato, la cui giacca è stata strattonata da una parte e dall'altra, ha scritto sul sito della presidenza della Repubblica che erano in gioco due beni di pari dignità: il rispetto delle regole ed il diritto dei cittadini al voto. A dire la verità, implicitamente Napolitano afferma che il secondo diritto sia prevalente. Il decreto legge, che Napolitano ha firmato, viene presentato come interpretativo, pur essendo di fatto un'innovazione legislativa. Alcuni costituzionalisti, evidentemente sinistrorsi, hanno subito gridato all'incostituzionalità. Di Pietro vorrebbe defenestrare Napolitano, mediante impeachment. Resta da chiarire se detta defenestrazione del capo dello Stato, propria dell'ordinamento USA, esista anche in Italia. Qualche supporter ad oltranza sulle facoltà mentali dell'ex magistrato potrebbe rispondere che Di Pietro, essendo stato pubblico ministero, conosce le leggi. Detto ottimista ad oltranza dovrebbe ricordare che dietro a Di Pietro c'era il pool di Mani Pulite, composto da cinque o sei veri laureati in legge. Di Pietro era ed è un sbirro, ed è meglio che non parli di cose che non capisce. Napolitano, ex comunista, ha capito che bisognava tapparsi il naso. Potevamo mica andare a votare con liste che avrebbero premiato il PD per abbandono dell'avversario? Se Napolitano avesse detto “arrangiatevi”, ed avesse mollato la patata bollente ai TAR di Lombardia e Lazio, allora sì che i giudici si sarebbero trovati nell'occhio del ciclone. Napolitano ha capito che un presidente PD forse ci poteva stare nel Lazio, ma non in Lombardia. Gli avrebbero reso la vita difficile, se non impossibile. Riammettendo le liste del PDL, che non erano state correttamente depositate, Napolitano ha sancito la predominanza del diritto sostanziale su quello formale. Il diritto formale si può sempre cambiare, in qualunque momento, e la gente non si indignerà più di tanto. Il diritto formale la gente non lo conosce e se ne frega di conoscerlo. I giuristi non sono eletti dal popolo, i politici sì, ed il capo dello Stato è il politico che ha messo d'accordo il maggior numero di parlamentari. Forse il povero Bersani porterà in piazza qualcuno, ma solo in una giornata festiva o prefestiva, possibilmente primaverile, perché i pochi lavoratori che gli danno ancora retta gli altri giorni lavorano, a differenza dei politici. Ma se Bersani dovesse portare la gente in piazza contro il decreto legge di Berlusconi, la porterà in piazza anche contro il suo compagno di partito Napolitano. Il presidente della Repubblica è fatto di una pasta diversa dai D'Alema, Fassino, Bersani e simili; Napolitano sa usare la testa, ed ha fatto quel che doveva. Finanche Fini, che sproloquia sempre a proposito ed il più delle volte a sproposito, ha dato ragione a Napolitano e, tappandosi il naso, a Berlusconi. Tutto il casino è partito quando le liste sono sono state presentate con firme fasulle e fuori tempo. Come mai? Pare che nel PDL si giochi al massacro, e Berlusconi dovrà spaccare qualche testaccia maledetta. Il nostro vantato sistema istituzionale non è a prova di stupido, se è possibile che si inceppi per cretinate come le firme di presentazione ed un ritardo non così spaventoso. Le firme di presentazione sono un pro forma cretino: chi poteva dubitare che il PDL intendesse partecipare elle elezioni regionali in Lombardia, dove spadroneggia, e nel Lazio, dove gli avversari hanno perso la presidenza per una storia di trans? Le firme di presentazione avrebbero un senso per partiti nuovi, non presenti nel parlamento nazionale e nei consigli regionali a cui ci si riferisce. Dovrebbe bastare una e-mail, da parte di Berlusconi, di Bersani, di Casini, di Di Pietro, per creare automaticamente liste per PDL, PD, UDC e IDV.

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