martedì 29 dicembre 2009

IL DIABOLICO PIANO DEL DOTTOR MARCHIONNE

L'amministratore delegato della Fiat e della Chrysler ha detto chiaramente che non è conveniente produrre automobili in Sicilia. Dalle parti di Torino e Milano sì, in Sicilia no, perché mancano le infrastrutture. Non crediamo si riferisca al ponte sullo stretto di Messina. Marchionne è stato ingaggiato per ridurre i costi ed incrementare i profitti, e questo è quel che fa. Finora è stato talmente convincente che lo hanno ingaggiato anche gli americani. Il suo diabolico piano si è pertanto arricchito dal punto di vista dell'approccio territoriale. Ora Marchionne gioca su una scacchiera che si estende su due continenti minimo. Chiudere a Termini Imerese è solo un tassello del suo disegno complessivo. Fiat e Chrysler avranno molto in comune, se non tutto. Una multinazionale risparmia incrementando le quantità e riducendo i siti di produzione. Assemblare i telai in un solo enorme stabilimento è meglio che farlo in dieci stabilimenti medi. Dove collocherà l'enorme stabilimento? Dove il costo del lavoro è minore, la qualità è accettabile, il contesto socio-politico non interferisce con la logica capitalista, le infrastrutture consentono di trasportare in fretta e bene il prodotto ovunque. Deduzione: la Fiat Chrysler non assemblerà telai in Sicilia. Dal punto di vista di Marchionne, il ragionamento non fa una piega. Dal punto di vista degli operai di Termini Imerese, purtroppo le cose sono molto diverse. Posti di lavoro in meno, reddito da cassintegrati, ritorno all'età del legno di tutta la zona ex industriale. I sindacati minacciano scioperi ed altre azioni. Potrebbero in effetti convincere Marchionne a chiudere ancora prima del 2011, ma non sono in grado di convincerlo in alcun modo a recedere dalla sua decisione. I sindacati hanno evidenziato una verità sussurrata: lo stabilimento siciliano lo ha pagato lo Stato italiano, forse anche strapagato. Quindi potremmo e dovremmo rivendicarlo. I metalmeccanici siciliani invitano qualche altra azienda automobilistica a farsi avanti, e riprendere da dove la Fiat ha mollato. Non capiscono o non vogliono capire che tutte le multinazionali, quando si tratta di valutare i costi ed i benefici, ragionano allo stesso modo. In più, il quadro internazionale è complicato dalla scomparsa di due marchi famosi: Volvo e Saab. Gli svedesi non hanno più l'auto vichinga, ma dovranno accontentarsi di quella cinese. Non pareva che Volvo e Saab stessero così male, ma evidentemente mascheravano bene i sintomi della malattia che le ha condotte ad una fine poco gloriosa. Tornando a noi, l'unica soluzione percorribile è quella di tornare a costruire l'auto nazional popolare, in stabilimenti gestiti da aziende con capitale pubblico. Non pensiamo alle ASL perché altrimenti cadiamo in depressione. Se ipotizziamo di costruire un'automobile vendibile, non possiamo affidare gli stabilimenti a politicanti e figli di politicanti. Pensiamo alle ferrovie dello Stato. Tappiamoci il naso, e facciamo finta che i treni non ritardino eccessivamente, che le carrozze siano pulite, che tratte poco redditizie non siano state abbandonate alla ruggine. I manager delle ferrovie hanno se non altro un piglio differente dai manager delle ASL. I primi parlano come i loro colleghi del privato, mentre quelli delle ASL parlano come hanno imparato a fare nelle sezioni di partito. La Renault è la dimostrazione vivente di come lo Stato possa gestire un settore produttivo, e lavorare bene. La differenza tra noi ed i francesi è la mentalità: loro non sparano sul pianista, e credono allo Stato. Loro hanno iniziato il sessantotto, ma si sono ricomposti quasi subito. Noi i sessantottini li abbiamo ancora tra le scatole. I francesi ci riempiono di Carrefour, Auchan e Decathlon, e noi non siamo ancora riusciti a copiarli. A sì che li abbiamo sotto casa!

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